Abstract
Più che una semplice autobiografia, un romanzo autobiografico. E a leggerlo oggi, vi si trova anche l’essenza di un vero testamento morale. Il prof. Emidio Grisostomi ha sentito proprio il bisogno – a un certo punto della sua vita – di rievocare il suo trascorso di medico ortopedico, e di renderlo pubblico. Voleva condividere certe passioni, trasmettere i propri sentimenti, trovare magari anime gemelle che nutrissero il suo stesso desiderio di aiutare il prossimo, quello debole e indifeso. Esempio nobile di impegno nel lavoro, di apertura mentale, di adattamento a qualsiasi situazione; e soprattutto di una generosità senza limiti. Insegnamenti da raccogliere, lasciati in eredità.
Aveva ancora la lucidità di concepire progetti di beneficenza, e la tenacia di volerli mettere in pratica, fino a poche ore prima che – quasi alla soglia dei 95 anni – la morte bussasse alla sua porta. Era il 5 ottobre scorso. Discendente di un antico e nobile casato, la sua era stata un’esistenza tanto lunga quanto ricca di avvenimenti, che aveva deciso di ripercorrere affidando la narrazione alle pagine di un libro dal titolo “Ricordi di un medico ortopedico, nel ’900 in Italia e in Africa”. L’indicazione del secolo come senso di appartenenza culturale, più che anagrafica; quella dei due luoghi per distinguere epoche diverse e successive, una professione che si misura con due mondi lontanissimi tra loro.
Prosa lineare e schiettezza nei contenuti sono quelle peculiarità di chi, come Emidio Grisostomi Travaglini (questo il suo vero cognome), non fa uso di incenso nel rievocare il proprio passato. È la stessa spontaneità che si poteva apprezzare ascoltando i suoi racconti. Nessuna remora, ad esempio, nel confessare insicurezze e mortificazioni nella dura fase di gavetta, prima comunque di arrivare a posizioni apicali. Dalla formazione all’Istituto Rizzoli di Bologna – con maestri del calibro di Francesco Delitala e Raffaele Zanoli – all’esperienza del Codivilla-Putti di Cortina; dall’assistentato a Treviso, col primario Irnerio Forni, al suo di primariato, nella terra marchigiana di origine, Porto San Giorgio prima, Fermo poi, la sua città natale.
Trai i 60 e i 70 anni prende avvio il secondo capitolo della sua vita, quell’avventura africana che a poco a poco assorbirà in maniera totale la sua mente e le sue fatiche. Quando mette piede nello Zambia, uno dei paesi più arretrati del continente, la visione di tanti derelitti – bambini e adulti abbandonati alla loro deformità congenita o agli esiti di infezioni ossee e gravi ustioni – fa scattare in lui un’irrefrenabile smania di agire, di soccorrere, di adoperarsi in tutte le maniere possibili. Ed è da qui che l’autobiografia assume più nettamente i contorni di un romanzo, con le tante immagini che ne documentano i vari episodi.
Lo si vede intervenire chirurgicamente in sale operatorie di fortuna, addestrare suore caritatevoli al ruolo di infermiere e indigeni zelanti a quello di assistenti, mettere mano al portafoglio per qualsiasi necessità; e soprattutto, a ogni rientro in patria, reclutare medici disposti al volontariato, sgomberare da apparecchiature fuori uso i magazzini di ospedali, cercare sovvenzioni con quel garbo persuasivo al quale non si può rispondere di no. Un mattone sopra l’altro, riuscirà addirittura a creare nella capitale Lusaka – acquistando e ristrutturando una vecchia villa coloniale inglese – lo “Zambian Italian Orthopaedic Hospital”. Patrimonio ereditario materiale, questo; che resterà a suo perenne ricordo.
Il libro, per volontà dell’autore, non è stato mai in vendita; ma di copie ne sono rimaste, e la famiglia volentieri le mette a disposizione. Chi è interessato può contattare il 3392914707.
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