Abstract
Molti si chiedevano come sotto quel camice di valente e umile ortopedico potesse nascondersi uno scrittore così erudito e brillante. E non meno numerosi erano coloro che, a sentirlo dissertare in un salotto letterario o a leggere le sue pregevoli opere, si stupivano del fatto che una mente così elevata potesse anche applicarsi alla buona pratica chirurgica. Medico e poeta, Luciano Roncalli Benedetti, o viceversa. Entrambi i ruoli erano svolti con tali perizia ed eleganza che davvero non si riusciva a capire quale dei due godesse di maggiore considerazione. Coniughiamo per la prima volta i verbi al passato, nella nostra rubrica, per rendere omaggio a un personaggio che – in maniera tanto incisiva quanto discreta – ha contribuito a scrivere la storia dell’ortopedia genovese nella seconda metà del secolo scorso. Lunga la sua carriera, interamente vissuta nella grande area ospedaliera del San Martino, prodigandosi e poi emergendo in quell’intrico di reparti che si era venuto a creare tra le alterne politiche sanitarie di moltiplicazione e di fusione. Dopo una iniziale frequenza nella Clinica ortopedica diretta dal prof. Raffaele Zanoli (erano gli anni Cinquanta), il dott. Luciano Roncalli Benedetti venne accolto nella storica Divisione INAIL del Padiglione 12, dove già al tempo della Seconda guerra mondiale il primario Enrico Pachner si adoperava per il trattamento dei traumi scheletrici. Fece in tempo ad assorbire un po’ di quell’eclettismo che Pachner riversava nei suoi atti operatori, prima di ritrovarsi alle dipendenze di due nuovi primari: Franco Roasenda tra il ’59 e il ’60, aiuto di Zanoli, dal quale assimilare l’impostazione scientifica rizzoliana; Mario Belgrano per i successivi sedici anni, fonte di insegnamento soprattutto per la chirurgia della colonna.
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