Abstract
Osservava il corpo umano con gli occhi del chirurgo; lo disegnava come se avesse il bisturi al posto del pennello. E tutto appariva chiaro, definito, semplificato in ogni minimo dettaglio. Ne veniva fuori l’immagine di una realtà anatomica troppo bella per essere vera, eppure istruttiva, didascalica come nessun altro mezzo visivo. L’artefice di un tale prodigio si chiamava Remo Scoto. All’Istituto Rizzoli, che lo aveva visto nascere professionalmente, e all’ortopedia italiana, che lo aveva nutrito con i propri modelli, restituì in beneficio e in prestigio tutto quello che gli era stato concesso. La storia – dell’uno e dell’altra – lo avrebbe perciò accolto tra i suoi protagonisti. I disegni di Remo Scoto hanno guidato e addestrato intere generazioni di chirurghi, sicuramente più di quelle che gli furono contemporanee – tra gli anni venti e sessanta del secolo scorso –, essendo diffusi anche in pubblicazioni di epoche successive. La sua sigla autografa era un piccolo svolazzo che a malapena si notava nella parte bassa della figura, magari mimetizzata tra il profilo di una piega cutanea o lo schizzo di uno strumento chirurgico. E quindi, davanti alla magnificenza della rappresentazione grafica, l’autore restava quasi nascosto, se non addirittura ignorato.
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