Introduzione
Il distacco epifisario dell’omero distale fu descritto per la prima volta da Smith nel 1850 1. Tale tipo di frattura è causata da forze rotatorie applicate all’arto dovute a difficoltà alla nascita o abusi su minori 2. Sia il parto vaginale che il taglio cesareo possono essere associati a tale quadro clinico 3, così come patologie congenite come la mucopolisaccaridosi, l’osteogenesi imperfetta (OI) e altri disordini metabolici 4.
Nei neonati la diagnosi risulta essere particolarmente complessa dal momento che la radiologia convenzionale è non dirimente e difficile da interpretare 5 e i casi vengono spesso sottostimati 6. In Letteratura solo pochi casi sono documentati con diagnosi ritardate in media tra le 36 e le 48 ore dalla nascita 7.
Il quadro clinico con cui si presentano spesso non è di aiuto, essendo limitato al gonfiore e al risveglio del pianto durante la manipolazione, tuttavia già la sola ipovalidità di un arto alla nascita con atteggiamento pseudoparalitico (frequentemente interpretato come paralisi ostetrica) deve fare sospettare una lesione scheletrica dell’arto.
L’utilizzo della ecografia può essere di aiuto per confermare la diagnosi di sospetto, pur trattandosi di un esame operatore-dipendente 8, così come la risonanza magnetica (RMN), che in età neonatale necessita della narcosi, e l’artrografia, che risulta essere tuttavia fortemente invasiva e non scevra da rischi iatrogeni.
Ad un quadro clinico-diagnostico tanto complesso, si aggiunge il fatto che, ad oggi, non esiste una comune linea guida di trattamento: le indicazioni sono molteplici e vanno dalla semplice osservazione, specie nei casi diagnosticati con molto ritardo, alla applicazione di skin traction 9 o dunlop traction, all’immobilizzazione e riduzione in narcosi, alla riduzione e pinning a cielo chiuso, alla riduzione a cielo aperto e pinning.
Materiali e metodi
Un neonato maschio del peso di 2,9 kg, nato a termine da parto vaginale distocico, giungeva alla nostra osservazione alla 4° giornata di vita, proveniente da un altro nosocomio.
Successivamente al parto era stata infatti notata la comparsa di tumefazione ed impotenza funzionale dell’arto superiore destro con atteggiamento pseudoparalitico dello stesso. Essendo stata esclusa la diagnosi di paralisi ostetrica dai neonatologi che avevano in cura il piccolo, erano state richieste radiografie dell’arto superiore destro in comparativa con il sinistro (Fig. 1) e, successivamente a queste, una valutazione ortopedica dal momento che la diagnosi di sospetto era stata “lussazione del gomito”. Lo specialista ortopedico, presa visione delle radiografie, aveva eseguito una manipolazione dell’arto e successiva immobilizzazione con bendaggio, richiedendo ulteriore controllo radiografico (Fig. 2).
Essendo tuttavia il secondo quadro radiologico sovrapponibile al primo, veniva contattato il nostro reparto per il prosieguo delle cure in quarta giornata dalla nascita e, non essendo attivo un servizio di telemedicina, veniva disposto il trasferimento del neonato presso il nostro nosocomio.
A quel punto il nostro esame clinico evidenziava: presenza di evidente ecchimosi e tumefazione al gomito destro con crepitio alla palpazione che evocava il pianto e presenza di atteggiamento pseudoparalitico dell’arto con mancanza del riflesso di prensione e mano cadente; la mobilizzazione del gomito risvegliava dolore e pianto, non erano evidenti deficit vascolari. La diagnosi di paralisi veniva esclusa dal fatto che, sebbene il neonato presentasse una ipomotilità della mano, era tuttavia presente il movimento spontaneo della spalla.
Le radiografie eseguite nei giorni precedenti presso l’ospedale di provenienza e prese in visione evidenziavano come il gomito dx rispetto al sx presentasse una asimmetria delle linee radiologiche di riferimento, con lo spostamento mediale della linea tra il radio e l’ipotetico nucleo di ossificazione del condilo omerale, e la lateralizzazione dell’olecrano dx rispetto al controlaterale (Fig. 3).
Veniva quindi eseguita un’ulteriore integrazione in proiezione laterale (Fig. 4) e, data l’asimmetria della linea anteriore omerale rispetto alla controlaterale, la lateralizzazione dell’ulna, lo spostamento della linea radio-capitellare e la dislocazione postero-mediale del gomito, veniva posta diagnosi di “distacco epifisario dell’omero distale”. Chiaramente, in assenza dei nuclei di ossificazione, quelli sopra elencati sono gli unici elementi radiologici a guidare la diagnosi. Il successivo controllo ecografico in comparativa consentiva di confermare la diagnosi di sospetto (Fig. 5).
Essendo non più facilmente manipolabile il frammento distale dato il tempo trascorso dal trauma, in quinta giornata si decideva di eseguire manovra di riduzione in sedazione in sala operatoria. Dopo una iniziale difficoltà alla manipolazione legata ai fenomeni riparativi presenti, si riusciva a mobilizzare il frammento distale ed ottenere una riduzione soddisfacente, utilizzando come parametro di riferimento per tale valutazione le linee radiologiche del gomito controlaterale citate in precedenza sulla guida di un amplificatore di brillanza, non avendo a disposizione l’esame ecografico intraoperatorio. Infine, per stabilizzare il frammento e prevenirne fenomeni rotazionali, venivano applicati 2 fili K da 0,6 mm (pinning).
Il controllo radiografico eseguito il giorno seguente mostrava una riduzione soddisfacente, con ripristino della linea omerale anteriore rispetto all’arto controlaterale, correzione della dislocazione posteromediale e corretto allineamento omero-radiale e della linea omerale anteriore e radio-capitellare (Fig. 6). La deformità torsionale osservabile nella proiezione laterale era ascrivibile solo all’atteggiamento dell’omero prossimale e non tanto a mal riduzione della fisi, non valutabile radiologicamente se non con le famose linee di riferimento.
A distanza di 15 gg. venivano eseguite radiografie di controllo che mostravano la persistente congruità dei parametri radiologici presi in esame e la presenza di fenomeni riparativi; venivano pertanto rimossi i fili k ed eseguita ecografia del gomito postrimozione, la quale mostrava il corretto posizionamento del nucleo rispetto alla diafisi. A quel punto, venivano spiegati ai genitori dei semplici movimenti da far effettuare al bambino per il recupero articolare (Fig. 7).
A 30 gg. il piccolo presentava un’articolarità pressoché completa e una restituito ad integrum del quadro neurologico (Fig. 8).
Discussione
Le prime descrizioni di distacco epifisario neonatale risalgono al 1850 1 e al 1926 10. La sua incidenza è di circa lo 0,09 su 1000 nati 11 poiché la regione della fisi è la parte più debole dell’omero distale; forze di taglio rotazionali o trazione eccessiva applicata per estrarre il bambino durante il parto
possono causare questo tipo di frattura, specie nel parto vaginale distocico o nel taglio cesareo 12.
Questa entità nosologica entra in diagnosi differenziale con la paralisi ostetrica e, per quanto di maggiore pertinenza ortopedica, con la frattura unilaterale dell’epicondilo e la lussazione di gomito. Occorre evidenziare come la dislocazione del gomito ad oggi non sia mai stata descritta in Letteratura sotto i 4 anni di età 13 e, in ogni caso, come evidenziato nella Figura 9, la linea tracciata lungo l’asse longitudinale del radio non interseca la sede anatomica del capitello che resta nel suo sito anatomico nella lussazione, mentre nel distacco epifisario interseca il capitello che è spostato lateralmente.
Come precedentemente detto, la difficoltà diagnostica risiede nell’assenza dei nuclei di accrescimento, che cominciano a comparire non prima dei due anni di età, mentre tutta la parte cartilaginea articolare presente è radiotrasparente e dunque non visibile alla radiografia tradizionale. Dunque, solo l’esecuzione di un esame radiologico in comparativa nelle due proiezioni standard e il tracciamento di linee radiologiche di riferimento nel gomito neonatale normale può condurre ad una diagnosi di sospetto escludendo altre lesioni scheletriche 14.
La radiologia tradizionale presenta tuttavia diversi svantaggi nel giungere alla diagnosi, non ultime l’esposizione ripetuta a radiazioni in bambini così piccoli e l’interpretazione non univoca delle linee radiologiche di riferimento (linea omerale anteriore nella proiezione laterale e linea radio-capitellare nella proiezione antero-posteriore).
Avvalendosi dunque di un esame diagnostico routinario e presente in tutti i presidi ospedalieri quale l’ecografia, si può essere in grado di descrivere i rapporti tra la parti cartilaginea ed ossea; tuttavia, quello ecografico resta un esame fortemente operatore-dipendente. Anche la RMN 9 permetterebbe una valutazione della posizione della fisi, ma non è un esame facilmente eseguibile in quanto necessita della sedazione del neonato e non sempre sono presenti bobine dedicate all’esecuzione dell’esame in pazienti cosi piccoli. In ultimo, l’artrografia 15 ha il limite di essere un esame invasivo.
Indubbiamente, nello specifico caso riportato, il fatto di avere un ecografista particolarmente competente in apparato muscolo-scheletrico, ci ha aiutato non poco in fase diagnostica.
Circa la metodica di trattamento, non esistono pareri univoci in Letteratura: la riduzione ed applicazione di stecca gessata in sedazione risulta essere un procedimento non complesso se fatto nell’immediato 11 e rappresenta la scelta più praticata, riservando il pinning ai casi ove la riduzione non sia soddisfacente o si sia giunti ad una diagnosi tardivamente 16 come nel caso che abbiamo preso in esame. Sono anche descritti trattamenti con sola trazione 17 o anche riduzione aperta e pinning. Kasser e Beaty 18 hanno raccomandato l’immobilizzazione con gomito flesso a 90° e avambraccio in pronazione per stabilizzare la frattura nei neonati. Al contrario, Price 19 ha sostenuto la riduzione chiusa e percutanea. Mizuno et al. 20 hanno raccomandato la riduzione aperta attraverso un approccio posteriore con pinning.
La deformità in varo risulta essere la comune complicazione, anche se non progressiva, come esito di questo trauma e ancora inspiegabilmente osservata non solo nei pazienti in cui la riduzione non è stata soddisfacente, ma anche in pazienti trattati a cielo aperto. De Jager and Hoffman et al. 21 l’hanno osservata con maggiore frequenza nei bambini sotto i 2 anni di età, con persistenza a distanza nonostante il rimodellamento dell’omero distale ed i controlli radiologici soddisfacenti. Questo li ha portati ad ipotizzare che possa trattarsi dell’esito di un’inadeguata riduzione, specialmente quando la corteccia mediale è coinvolta nella frattura ed il frammento distale mostra una rotazione interna. Altri Autori avanzano l’ipotesi che la deformità in varo sia la conseguenza del trauma epifisario originario e non tanto della scarsa riduzione ottenuta, quale che sia la metodica di trattamento utilizzata 22.
La scelta del trattamento da noi effettuata è stata giustificata dalla notevole instabilità che presentava il gomito del neonato dopo manipolazione in narcosi, con impossibilità di mantenimento della riduzione con il solo apparecchio gessato dopo la calloclasia in sala operatoria.
Conclusioni
Il distacco epifisario dell’omero distale alla nascita è un evento estremamente raro. È molto importante l’esame clinico e la corretta interpretazione della radiologia convenzionale per potere porre giuste indicazioni e fare diagnosi differenziale. L’ecografia si dimostra essere una metodica sicura, affidabile e non invasiva se condotta da mani esperte nel confermare il sospetto diagnostico.
La rapidità della diagnosi può fare la differenza nel trattamento: quello di scelta resta la riduzione manuale con il braccio in pronazione se la diagnosi viene fatta tempestivamente. Nel caso discusso, il quinto giorno dopo la nascita erano già presenti fenomeni riparativi che non consentivano una tale riduzione per cui, dopo una cauta mobilizzazione, il pinning è stata una scelta necessaria, dimostrandosi utile e mininvasiva e pertanto applicabile anche come prima scelta. Questo approccio può dare un sollievo sintomatico precoce e ridurre il rischio di non-union (pseudoartrosi [rara] e di malunion [viziosa consolidazione]).