Introduzione
L’epifisiolisi dell’anca (EA) è una malattia caratterizzata dallo spostamento reciproco della metafisi e dell’epifisi prossimale del femore 1 causato da un cedimento della cartilagine di accrescimento prossimale del femore per un sovvertimento della sua normale struttura 2,3. Clinicamente, si distinguono una forma acuta, una forma cronica e una forma acuta su cronica 1.
Nei casi cronici con spostamento lieve, cioè con un angolo di Southwick (AS) ≤ 30°, l’epifisiodesi “in situ” (EIS) dell’epifisi prossimale del femore (EPF) arresta l’evoluzione della malattia con risultati soddisfacenti a lungo termine 4. Nei casi, invece, con scivolamento moderato (AS compreso tra 31° e 50°) e grave (AS > 50°) l’EIS non dà risultati brillanti perché l’anca va incontro molto spesso a un’artrosi precoce 5-7. Nei casi acuti e acuti su cronici trattati secondo i metodi tradizionali di riduzione ed EIS, si verifica spesso la necrosi avascolare (NA) dell’EPF, complicazione che porta precocemente ad una grave forma di artrosi dell’anca con conseguente invalidità 8,9.
Negli ultimi 16 anni, la tecnica chirurgica di Dunn 10 modificata da Ganz (PDM) 11, 12 sta ottenendo consensi in tutto il mondo per il trattamento delle forme croniche moderate e gravi e delle forme acute di EA. Gli autori che per primi hanno descritto e praticato questa nuova tecnica 12 hanno riscontrato due vantaggi principali rispetto alle tecniche tradizionali: il primo è la riduzione anatomica, o quasi anatomica, dell’EPF sulla metafisi prossimale del femore e il secondo è l’assenza di NA dell’EPF, con conseguente potenziale scomparsa dell’artrosi secondaria dell’anca dalle possibili sequele dell’EA 12.
Le più recenti revisioni sistematiche e metanalisi della letteratura sulla PDM hanno riportato buoni risultati nella maggior parte dei casi operati 13, 14 e nei follow-up a lungo termine sono stati segnalati solo pochi casi di artrosi lieve dell’anca dopo PDM 15-17. Tuttavia, poiché la nuova metodica è stata eseguita da un numero sempre maggiore di chirurghi in tutto il mondo, l’incidenza della NA - la complicazione più temuta della PDM e assente nei primi lavori di Leunig et al. 12 – ha raggiunto una media che va dal 10,8% 13 al 14,3% 14. L’instabilità dell’anca (IA), la seconda grave complicazione della PDM, è stata segnalata in circa il 6,8% dei casi 13, sebbene la sua eziopatogenesi non sia stata ancora completamente chiarita.
In questo studio descriviamo i risultati del trattamento mediante PDM di un gruppo di pazienti affetti da EA con un SA > 40° e proponiamo una nuova teoria patogenetica della IA verificatasi in due dei nostri casi.
Materiali e metodi
Dal gennaio 2015 al dicembre 2019, sono stati operati mediante PDM 13 pazienti affetti da EA per complessive 14 anche con AS > 40°. L’intervento è stato eseguito secondo la tecnica descritta da Leunig 12 dai due chirurghi (E.I. ed E.M.) che avevano esperienza della lussazione chirurgica dell’anca descritta da Ganz 11 (Fig. 1). La tecnica chirurgica originale prevede un accesso laterale diretto, l’osteotomia del gran trocantere e la preparazione di un flap retinacolare contenente l’arteria circonflessa mediale, dopo apertura a Z della capsula articolare. Dopo la riduzione, l’EPF è stata fissata con 3 fili di Steinmann e il grande trocantere è stato sintetizzato con viti cannulate.
La diagnosi delle diverse forme di EA è stata posta in base all’anamnesi, al quadro clinico e all’esame radiografico. Ogni paziente è stato anche sottoposto ad una TC con ricostruzione 3D delle anche per una migliore caratterizzazione della patologia dell’EA. Mediante tecnica di ricostruzione multi-planare sono state poi effettuate le misurazioni dell’acetabolo e dell’EPF nei casi di instabilità dell’anca 18.
I genitori di tutti i pazienti operati hanno firmato un consenso informato e lo studio è stato autorizzato dal Comitato Etico dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Dopo l’intervento chirurgico, i pazienti sono rimasti a letto per 1 giorno e successivamente incoraggiati a muovere l’anca operata fuori carico. Il carico assistito con bastoni canadesi è stato concesso per 5 settimane mentre nelle successive 12 settimane è stato progressivamente raggiunto il carico completo senza appoggi.
Tutti i pazienti operati sono stati controllati in ospedale clinicamente, radiograficamente e mediante TC con ricostruzione 3D, con una durata media del follow-up di 5,5 anni (da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni con deviazione standard di ± 1,6) (Tab. I). I risultati sono stati valutati con l’Harris Hip Score dell’adulto 19, piuttosto che con altre scale di valutazione pediatriche dell’anca perché al controllo finale tutte le cartilagini di accrescimento dell’anca erano chiuse. Lo studio statistico è consistito nella valutazione della media dei valori con le rispettive deviazioni standard per tutti i parametri con distribuzione normale dopo conferma con istogrammi e con il test di Kolmogorov-Smirnov.
Risultati
Tutti i dati clinici, i risultati e le complicazioni dei pazienti operati mediante PDM sono riportati nella Tabella I. Delle 14 anche operate, 8 hanno avuto un risultato eccellente (Fig. 2A-F), 3 buono, 1 discreto e 2 cattivo. Per quanto riguarda le complicazioni, abbiamo avuto un caso di NA massiva in un’anca con EA acuta su cronica (Fig. 3A-D) e 2 casi di instabilità dell’anca, 1 in EA acuta su cronica (Fig. 4A-E) e 1 in EA cronica (Fig. 5). Nel caso con risultato discreto era presente una sublussazione di modesta entità mentre nei 2 casi con risultato cattivo erano presenti rispettivamente una NA e una grave sublussazione dell’anca: in entrambi i casi è stato poi eseguito un intervento di artroprotesi totale dell’anca (Fig. 3D).
In 3 anche erano presenti ossificazioni eterotopiche peri trocanteriche, totalmente asintomatiche.
Dei 2 pazienti con IA, 1 aveva una EA bilaterale con una forma cronica di media entità a destra e una forma acuta su cronica a sinistra con AS di 85°. Il dolore era presente da 8 mesi a sinistra e da 3 mesi a destra, ma la diagnosi di EA è stata confermata solo dopo il ricovero in ospedale. La TC-3D preoperatoria del bacino e delle anche ha mostrato che l’EPF destra, sebbene dislocata postero-medialmente, era completamente contenuta nell’acetabolo, mentre l’EPF sinistra era dislocata parzialmente all’interno del recesso postero-mediale della capsula articolare assumendo un contatto parziale con l’acetabolo (Fig. 5A). L’acetabolo destro era emisferico mentre quello di sinistra era ellittico (Fig. 5B). L’EPF destra era emisferica come l’acetabolo destro, mentre l’EPF sinistra aveva una forma ellittica irregolare non congruente con le misure dell’acetabolo sinistro.
L’altro paziente era affetto da una EA monolaterale acuta su cronica a destra con una storia clinica di dolore persistente da quasi un anno (Fig. 4A). La scansione TC-3D ha mostrato che l’acetabolo destro aveva una forma ellittica, in confronto all’ acetabolo sinistro normale che aveva una forma emisferica. (Fig. 4D, 4E). I tagli TC sul piano trasversale mostravano una perfetta congruenza dell’EPF sinistra con l’acetabolo, mentre l’EPF destra era lontana dal fondo dell’acetabolo anche dopo la sua riduzione chirurgica. (Fig. 4E).
Discussione
Nel 1964, Dunn 10 propose una nuova tecnica chirurgica di riduzione cruenta e fissazione dell’EPF a livello della dislocazione metafiso-epifisario senza lussazione chirurgica dell’anca e 14 anni dopo Dunn e Angel hanno riportato i risultati a lungo termine dell’intervento 20. Nella loro esperienza, la prevalenza della NA era del 24% nei casi acuti e del 4% nei casi cronici. Tuttavia, negli anni successivi nessun chirurgo, adottando questa tecnica, è riuscito a ottenere i buoni risultati di Dunn, riportando al contrario un’elevata incidenza di complicazioni 21-23. La tecnica di Dunn è stata quindi progressivamente abbandonata, specialmente nelle forme acute, in favore delle tecniche tradizionali di riduzione cruenta o a cielo chiuso ed epifisiodesi. Purtroppo, però, queste ultime, proprio nelle forme acute, sono gravate da un’incidenza di NA di circa il 24%9 con picchi che raggiungono il 47% 8.
Nel 2001 Ganz et al. 11 hanno descritto la tecnica della “lussazione chirurgica” dell’anca con tutte le strategie e gli accorgimenti per preservare l’integrità dei vasi retinacolari che nutrono l’EPF. Nel 2007 Leunig et al. 12 hanno applicato la tecnica di Ganz alla riduzione cruenta con epifisiodesi dell’EA moderata e grave, definendola “procedura di Dunn modificata” (PDM). Grazie ad essa, questi autori hanno ottenuto in tutti i casi operati una riduzione anatomica dell’EPF con lo 0% di prevalenza della NA. Con il diffondersi della tecnica in tutto il mondo, i risultati ottimali degli Autori svizzeri 12 si sono in parte modificati. Infatti, recenti revisioni sistematiche e metanalisi della letteratura sulla PDM1 3, 14 hanno mostrato risultati complessivamente soddisfacenti, ma con una prevalenza media della NA che varia dal 10,8% al 14,3%, prevalenza che quasi si raddoppia nelle forme acute, raggiungendo il 19,9% dei casi 14 24.
L’indicazione al trattamento dell’EA dovrebbe essere basata sui pochi studi con follow-up a lungo termine 6,25-28. Tali studi hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti affetti da forme lievi e moderati di EA, o non trattati 27, 28 o trattati mediante epifisiodesi “in situ” 6,25, 26, presentavano in età adulta solo modeste alterazioni artrosiche dell’anca, mentre le forme gravi di EA sviluppavano precocemente gravi alterazioni artrosiche. Queste ultime sono causata dal conflitto tra il collo femorale dislocato anteriormente e il bordo antero-superiore dell’acetabolo. Tale condizione è stata definita conflitto femoro-acetabolare (FAI) 29 e si valuta mediante l’angolo alfa, il cui valore normale è ancora dibattuto, sebbene una recente metanalisi lo fissi a 60° 30. Indubbiamente, l’epifisiodesi “in situ” blocca un ulteriore scivolamento indipendentemente dalla sua gravità, ma non ha alcun effetto sul rimodellamento della prominenza ossea metafisaria presente alla giunzione tra l’epifisi femorale capitale (CFE) e il collo: il rimodellamento della giunzione CFE-collo è quindi cruciale per evitare il FAI e la conseguente artrosi dell’anca. Nelle forme di EA medio-gravi nelle quali il rimodellamento è insufficiente ad evitare il conflitto, la PDM ha la sua principale indicazione.
Prima dell’introduzione della PDM nella pratica clinica, gli esiti medio-gravi di EA erano trattati mediante osteotomie femorali intertrocanteriche e sottotrocanteriche, descritte da Imhauser in Europa 31 e da Southwick in Nord America 4. Poiché la sede dell’osteotomia è lontana dalla deformità, l’entità della correzione è limitata e l’osteotomia crea una deformità secondaria a forma di Z in corrispondenza della giunzione diafisi-collo femorale che può rendere tecnicamente difficili eventuali interventi di artroprotesi d’anca. Inoltre, entrambe le osteotomie sono tecnicamente impegnative e possono associarsi a gravi complicazioni precoci come la NA e la condrolisi, sebbene studi con follow-up a lungo termine abbiano riportato buoni risultati in quasi il 70% dei casi trattati 32,33.
Nella nostra piccola casistica di EA > 40° trattati con PDM, abbiamo ottenuto il 90% circa di risultati ottimo-buoni, in linea con la letteratura attuale. La NA si è verificata nel 7% dei casi, mentre l’IA nel 14%; questi dati sono invertiti rispetto ai valori riportati dalle recenti revisioni sistematiche e metanalisi della letteratura 13,14. Tuttavia, le nostre statistiche sono influenzate dall’esiguo numero di pazienti sottoposti a PDM.
L’eziopatogenesi della NA nella EA è stata individuata molti anni fa 34 mentre quella della IA, descritta come una “complicazione devastante” da Upasani et al. 35, non è stata ancora completamente chiarita. Sono stati formulati vari meccanismi eziopatogenetici, ma alcuni di essi sono stati oggettivamente dimostrati, mentre altri sono stati solo oggetto di teorie. Upasani et al. 35 hanno riportato un’incidenza della IA del 4% dei casi in uno studio multicentrico di 406 PDM raccolte da 8 diverse istituzioni. Questi autori hanno formulato 2 teorie sulla causa della IA postoperatoria: (1) una sutura capsulare più lassa per prevenire una costrizione meccanica dei vasi retinacolari, (2) un danno alla porzione anteriore del cercine cotiloideo causato dalla prominenza del bordo anteriore del collo del femore. Tuttavia, nei nostri 14 casi la capsula articolare è sempre stata suturata in maniera lassa, ma abbiamo avuto solo 2 casi di IA postoperatoria.
Aprato et al. 36 hanno riportato 3 casi di IA dopo PDM: 2 casi sono stati causati dalla sfuggenza del tetto acetabolare, come evidenziato da radiografie e TC, mentre il terzo caso è stato causato da un eccessivo accorciamento del collo del femore (1 cm) per decomprimere i vasi retinacolari. In questo caso, una concausa è stata la fissazione del grande trocantere senza avanzamento distale. I risultati di Aprato sono avvalorati dallo studio radiografico di Maranho et al. 37, che hanno dimostrato come il 25% dei pazienti affetti da EA tendeva a sviluppare una ridotta copertura acetabolare simile a quella della displasia dell’anca. I fattori predisponenti sono la giovane età del paziente all’inizio della malattia, una forma grave di EA e un’ipertrofia della EPF. La conclusione degli autori è che il rimodellamento acetabolare durante le ultime fasi dell’EA può essere un fattore predisponente alla IA dopo PDM.
Dopo lo studio di Aprato 36, diversi autori hanno riportato 8 ulteriori casi di IA 17,38-40 con una prevalenza di circa il 6,6%. Tuttavia, l’eziopatogenesi della IA di HI è evidente solo in 2 degli 8 casi segnalati: un caso causato dalla presenza di un corpo libero nell’articolazione dell’anca 39 e l’altro caso dall’interposizione della capsula ripiegata tra la testa femorale e la parete acetabolare 41.
Pertanto, la letteratura precedente dimostra che solo in pochi casi di IA è stata evidenziata una causa oggettiva e che questi casi hanno avuto un buon esito dopo il re intervento. Nei casi di displasia acetabolare un’osteotomia peri acetabolare ha risolto l’IA; in altri ancora con il sospetto di una insufficienza capsulo-labrale è stata possibile la riduzione della sublussazione con l’immobilizzazione in apparecchio gessato. Tuttavia, in molti altri casi non è stato possibile rilevare alcuna causa oggettiva e in molti di essi si è sviluppata una NA secondaria, con esiti infausti 35.
Nei nostri due casi di IA, la TC ha dimostrato perché la sublussazione non poteva essere ridotta: l’EPF deformata non poteva più adattarsi completamente all’acetabolo la cui forma s sua volta si era modificata da emisferica a ellittica in seguito all’evoluzione dell’EA. In effetti, entrambi i casi presentavano scivolamenti gravi e di lunga durata che avevano causato un progressivo rimodellamento sia dell’acetabolo che dell’EPF per i nuovi rapporti anatomici causati dal grave scivolamento: l’EPF era contenuta solo in parte nell’acetabolo mentre per metà essa era localizzata all’interno del recesso capsulare postero-mediale. Di conseguenza, l’EPF continuava a crescere al di fuori del pieno contenimento acetabolare perché la sua vascolarizzazione era mantenuta.
Abbiamo misurato l’EPF e l’acetabolo con il metodo “TC multi planare” descritta da Wang et al. 18. Questo metodo consente all’operatore, mediante programma informatico dedicato, di effettuare contemporaneamente le misurazioni di una qualsiasi componente scheletrica nei 3 piani dello spazio. Potremmo quindi ipotizzare che un’incongruenza femoro-acetabolare, come quella dei nostri due casi, potrebbe anche essere stata la causa in quei casi di IA in cui una causa oggettiva non è stata di fatto riscontrata con le sole metodiche cliniche e radiografiche.
Il nostro studio ha diversi limiti. Si tratta di uno studio retrospettivo soggetto agli errori associati al disegno stesso dello studio. I casi operati di PDM sono pochi. Tuttavia, il lungo follow-up dei nostri pazienti è stato in grado di fornire dati interessanti sull’evoluzione di questa tecnica chirurgica. Inoltre, tutti i pazienti si sono presentati al follow up finale. In futuro, sarà comunque necessario uno studio prospettico che coinvolga un numero maggiore di pazienti.
Conclusioni
In conclusione, la PDM può essere considerato il trattamento di elezione nelle forme di EA acuta a causa del rischio minore di NA rispetto alle metodiche tradizionali e nelle forme croniche medio-gravi con elevato rischio di artrosi precoce dell’anca. Sfortunatamente, il trattamento di salvataggio nella maggior parte dei casi di NA è l’artroprotesi totale dell’anca 42, gravata da tutte le ben note complicazioni quando viene eseguita in età giovanile 43.
Per quanto riguarda invece l’eziopatogenesi dell’IA, una delle complicanze temute della PDM, si consiglia di eseguire una TC-3D nei casi di EA di lunga durata con marcata dislocazione per valutare l’incongruenza femoro-acetabolare come possibile causa dell’IA postoperatoria.
Figure e tabelle
Numero di pazienti | Età all’intervento (anni) (media +/- DS) | Sesso | Numero di anche e lateralità | Classificazione | Angolo di Southwick (media +/- DS) | Durata del follow-up (anni) (media +/- DS) | Età al follow-up (anni) (media+/-DS) | Angolo Alfa (media +/- DS) | Risultati (Harris Hip Score) | Complicazioni |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
13 | 12,9 (+/- 0,8 ) (da11,5a 14,2) | Uomini (11) | Destra (4) | Cronica (7 anche) | 72,7° (+/- 12,2°) (da 42° a 85°) | 5,5 (+/-1,6) (da 3 a 8) | 18,2 (+/-2,4) (da14,5 a 22,2) | 44,7° (+/-5,6°) (da 38° a 52°) | Ecellente (6 anche) | Necrosi avascolare (1 anca) |
Donne (2) | Sinistra (8) | Acuta su cronica (3 anche) | Buono (5 anche) | Instabilità (2 anche) | ||||||
Bilaterale (1) | Acute (4 anche) | Discreto (1 anca) | Ossificazioni eterotopiche (3 anche) | |||||||
Totale (14) | Scarso (2 anche) | Ossificazioni eterotopiche (3 anche) |