Introduzione
La vitamina D (Vit D) è, in verità, una denominazione inesatta poiché essa viene considerata oggi un vero ormone, verosimilmente il più ancestrale, sviluppato da alcuni organismi unicellulari (fitoplancton) già in epoca primordiale e mantenuto, attraverso tutte le fasi evolutive, fino agli animali superiori, con un ruolo nel metabolismo di quasi tutti i tessuti organici, dove presenta recettori ed enzimi necessari alla sua formazione.
Non sorprende, pertanto, che l’ormone “vitamina D” eserciti, attraverso la sua attività endocrina e paracrina, un’influenza su numerosi organi e sistemi, oltre la sua principale attività di controllo dell’omeostasi del calcio e fosforo.
Pertanto, la deficienza di Vit D è correlata a numerose patologie croniche, quali il diabete o varie patologie Cardiovascolari, a loro volta associate a uno stato Infiammatorio e ad alterazioni del sistema immunitario.
Esporremo in questo lavoro le principali azioni extraossee della Vit D, per sottolinearne il ruolo determinante nella fisiologia degli organi interessati e la correlazione con le varie patologie. La Vit D in tal modo viene a caratterizzarsi come un elemento non di semplice supplementazione e di mera integrazione alimentare, ma di potenziale sostegno circa la prevenzione o l’assistenza alla terapia specifica delle varie malattie.
Breve sinossi della vitamina D
La Vit D di cui l’organismo dispone origina per il 70% per azione dell’irraggiamento solare e per il 30% è di origine alimentare.
La Vit D attivata o calcitriolo (1a,25 (OH)2D) origina per trasformazione del 7-deidrocolesterolo (7-DHC) secondo varie tappe.
Dapprima l’irraggiamento porta alla formazione della pre-VIT D3 e poi alla formazione del colecalciferolo o Vit D3; negli alimenti invece è presente l’ergosterolo (Vit D2). Questi sono pro-ormoni e quindi non hanno attività biologica, richiedendo due passaggi essenziali.
Il colecalciferolo (la vitamina prevalente e più importante) con la sua proteina di legame arriva al fegato dove avviene il 1° processo di attivazione, acquisendo l’idrossilazione a 25-idrossivitamina D3 (25(OH)D3) o calcifediolo. Il 2° processo avviene a livello dei tubuli renali con una seconda idrossilazione a calcitriolo (1α,25(OH)2-D3), forma metabolicamente attiva dell’ormone-Vit D.
Pertanto occorre distinguere:
- il colecalciferolo (Vit D3), metabolicamente non attiva;
- il calcifediolo, forma semiattivata a livello epatico;
- il calcitriolo, (1α,25 (OH)2D3) forma attiva a doppia idrossilazione o Vit D3 propriamente detta.
Vitamina D e immunità
È ormai concetto acquisito come alla base della diversificata attività del calcitriolo (1α,25(OH)2D3) siano coinvolti, direttamente o indirettamente, centinaia di geni che alterano la loro espressione secondo le concentrazioni dell’ormone stesso 1-3. Houssein-Nezhad et al. hanno dimostrato che la Vit D3, in vivo, regola l’espressione di 291 geni nelle cellule ematiche della linea bianca coinvolte in oltre 160 reazioni biologiche. Tra questi geni occupano una posizione preminente quelli associati alle risposte immuni, a conferma del ruolo immuno-regolatore della Vit D3. Infatti le cellule del sistema immune sono regolate metabolicamente dal calcitriolo, potendo le cellule stesse produrre l’ormone attivo a partire dal 25,OHD 4.
La Vit D attiva (1α,25(OH)2D3 o calcitriolo) possiede recettori espressi sia sui nuclei che sulle membrane cellulari della maggioranza delle cellule immuni, ossia i monociti, i macrofagi, le cellule dendritiche, i linfociti T e B, i quali oltre a rispondere al calcitriolo, possono rispondere anche al metabolita epatico precursore, ovvero al calcifediolo (25OHD3), grazie alla presenza all’interno delle stesse cellule immuni dell’enzima CYP27B1 che ne completa la sua trasformazione a calcitriolo.
A conferma del ruolo nella risposta immunitaria, studi osservazionali hanno riportato come una deficienza di Vit D sia associata con un aumentato rischio di patologie infettive, incluso la TBC, HIV, HCV e infezioni del tratto respiratorio 5.
I monociti, i macrofagi e le cellule dendritiche (DC) rappresentano la prima linea di difesa naturale verso le infezioni per la presenza di speciali recettori, ossia i Pattern Recognition Receptors (PRRs) quali i toll-like receptors (TLRs), che sono in grado di riconoscere agenti microbici e iniziare un programma cellulare, volto all’induzione di un processo infiammatorio e alla distruzione del patogeno. Inoltre, le stesse cellule sono in grado di internalizzare e modificare alcuni antigeni batterici per presentarli alle cellule T, stimolando così il sistema immune acquisito.
L’attivazione degli stessi recettori comporta anche un’aumentata espressione di Vitamin-D Receptors (VDR) e del Citocromo CYP27B1 all’interno delle cellule, favorendo la trasformazione del 25,OHD nell’ormone attivo 1,25(OH)2D e nella conseguente induzione dell’attivazione dei peptidi antibatterici (catelecidina, defensine, NOD2) 6 con la funzione di limitare l’ingresso dei virus entro le cellule e inibirne la replicazione. Un’ulteriore funzione della Vit D è quella di promuovere il processo della autofagia e la maturazione del fagosoma, processi che mirano alla soppressione dell’agente patogeno 7,8. Un altro aspetto della potenziale attività antivirale della Vit D consiste nella capacità di stimolare nei monociti e macrofagi l’espressione di recettori (TLRs) in grado di riconoscere vari antigeni, quali proteine virali e acidi nucleici.
Oltre che sulle cellule immuni i recettori per la Vit D si trovano anche su numerose altre cellule, inducendo risposte diverse ed è inoltre dimostrato come 1,25(OH)2D sia in grado di inibire l’attivazione del fattore NFkB (nuclear factor kappa -light-chain enhancer of activated B cells) responsabile dell'espressione di numerose citokine 9,10. Oltre a regolare il sistema immune innato, in altri studi si dimostra anche un’influenza sul sistema immune acquisito, attraverso un processo complesso, funzionale a una limitazione di eccessivi processi infiammatori 11-13.
Il legame tra un basso livello di 25OHD e l’incidenza di patologie infettive ha incentivato l’utilizzo della Vit D come agente di prevenzione o di rinforzo terapeutico per varie patologie infettive quali faringotonsilliti, bronchioliti, polmoniti e influenza 14-16.
Vari studi hanno evidenziato come il rischio di infezioni respiratorie è maggiore in presenza di bassi livelli di 25OHD e particolarmente in soggetti con COPD, asma o altre concomitanti patologie croniche. A questo proposito è stato dimostrato come le cellule dell’epitelio polmonare esprimano il citocromo CYP27B1 e siano pertanto in grado trasformare il 25OHD nella sua forma attiva, esercitando un’attività anti-infiammatoria 17.
È importante sottolineare che i dosaggi di Vit D, usualmente impiegati nel trattamento delle patologie ossee, non sono ritenuti adeguati per prevenire o modulare l’influenza sulle patologie croniche o respiratorie indotte da virus. Per quest’ultime indicazioni sono ritenuti necessari livelli plasmatici superiori a 50-60 ng/ml. È pertanto plausibile che i risultati contrastanti descritti in alcuni studi clinici siano la conseguenza dei bassi livelli ematici di 25OHD non sufficienti a espletare un effetto positivo, sottolineando anche il fatto che i soggetti esaminati partivano da valori ematici bassi, senza tuttavia raggiungere le concentrazioni più adeguate. È stato invece interessante osservare come in soggetti con 25,OHD intorno a 7 ng/ml la somministrazione di latte fortificato con D è stata sufficiente a ridurre le infezioni del tratto respiratorio. In maniera analoga anche in pazienti immunodeficienti la somministrazione di Vit D per la durata di un anno ha ridotto il numero degli agenti patogeni nei fluidi nasali.
Si deve tuttavia sottolineare che la Vit D, coinvolta in numerose funzioni fisiologiche, è stata spesso impiegata in soggetti con condizioni ormai fortemente alterate e coinvolgenti anche altri meccanismi indipendenti dalla Vit D stessa; inoltre occorre considerare la complessità dell’attivazione dei recettori VDR che, pur ubiquitari, regolano l’espressione di geni con specifiche sequenze (Vit D-Response Elements-VDRE), oltre a lavorare in sinergia con altri fattori di trascrizione e coattivatori o corepressori.
Si può pertanto ritenere che, per esercitare un effetto positivo sulle varie condizioni patologiche, la Vit D deve trovare la coordinazione e la presenza di vari elementi non sempre presenti nelle sequenze necessarie, con possibile variabilità delle risposte oltre che le concentrazioni più idonee a ottenerle.
Non deve pertanto sorprendere come gli effetti della Vit D possano interessare anche diverse e diffuse patologie quali il diabete o le alterazioni cardiovascolari così come i tumori o il sistema respiratorio. Questo ultimo aspetto ha creato recentemente un vasto interesse per la potenziale attività verso le infezioni virali, in un periodo caratterizzato dalla pandemia indotta dal coronavirus Covid-19.
Vitamina D e sistema cardio-vascolare
Recenti progressi sono stati fatti anche nel relazionare la Vit D con l’insorgenza di patologie cardiovascolari (CV) e in particolare con la formazione della placca ateromatosa e la sua calcificazione, correlabile ai vari fattori di rischio quali l’ipertensione, la anomala concentrazione lipidica e la sindrome metabolica.
L’ipotesi che la Vit D svolga un ruolo importante nella patologia CV nasce da alcune evidenze sperimentali condotte in topi transgenici non in grado di utilizzare la Vit D e che sviluppano aterosclerosi e resistenza insulinica, condizioni predisponenti la patologia CV e il diabete di tipo II, sempre accompagnati da un’evidente reazione infiammatoria. Risultati simili sono stati ottenuti in topi nei quali i monociti e i macrofagi venivano privati dei recettori per la Vit D (VDR). Ed anche in questo caso si è osservata un’eccessiva produzione di glucosio epatico e la formazione di foam cells da parte dei macrofagi ingolfati da LDL ossidate. La condizione regrediva col ripristino di normali popolazioni di monociti e macrofagi con i recettori per la Vit D.
I recettori VDR dell’endotelio, presenti sulla muscolatura liscia e sui cardiomiociti, interagiscono con il calcitriolo svolgendo un effetto protettivo, mediante la captazione delle LDL e la proliferazione delle cellule muscolari lisce vasali (VSMC) e mediante la riduzione dell’espressione di molecole di adesione e citokine linfocitarie 18. La possibilità di un’azione cardioprotettiva della Vit D viene rafforzata anche dal fatto che le cellule endoteliali dell’aorta, dei cardiomiociti e dei fibroblasti esprimono l’enzima 1alfa-idrossilasi con la possibilità di trasformare il 25OHD direttamente e indipendentemente dall’intervento renale.
Un deficit di Vit D può aumentare il rischio di insorgenza di patologie CV a causa di uno sbilanciamento elettrolitico, di una disfunzione delle cellule pancreatiche β, dell’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), oltre a un'alterata risposta immune con la creazione di un ambiente infiammatorio che promuove la disfunzione vascolare e la resistenza insulinica 19.
In effetti modelli murini privati di VDR presentano un’alterata espressione di renina con aumento dei livelli di angiotensina II e ipertensione; il calcitriolo rinormalizza il quadro 20,21.
Di interesse è anche la prevenzione che il calcitriolo esercita sull’ iperparatiroidismo il quale, a sua volta, è associato a ipertrofia del miocardio e a più alti valori pressori. È ormai dimostrato come un eccesso di paratormone (PTH) sia associato a un aumento della pressione arteriosa, causata da una alterazione dell’endotelio in grado di influenzare la vasodilatazione.
Viene considerata importante anche l’interazione tra il PTH e il sistema RAAS (renina-angiotensina) che conduce all’ eccessivo rilascio di aldosterone. L’eccesso di aldosterone comporta anche una perdita di calcio e un conseguente aumento del PTH. L’effetto di un elevato PTH sui cardiomiociti, ma anche sulle cellule endoteliali e sulla muscolatura liscia vasale, sono stati considerati responsabili anche di una insufficienza cardiaca.
In uno studio 3.730 uomini tra i 60 e i 79 anni di età, senza precedenti segni di danno cardiaco, erano seguiti per 13 anni; un elevato PTH (> 55,6 pg/ml) era associato allo stress ventricolare e ad un aumentato rischio di insufficienza cardiaca, senza tuttavia che vi fosse una relazione con i livelli del 25OHD o altri parametri del metabolismo minerale, incluso il calcio e il fosfato. Si deve tuttavia ricordare che la maggioranza dei soggetti con insufficienza cardiaca risulta avere anche un basso livello di 25OHD, con un effetto negativo sul trasporto di calcio nei cardiomiociti con ipertrofia, infiammazione e fibrosi, oltre alla attivazione del RAAS che si verifica per i bassi livelli di Vit D 22.
Altri lavori in ambito clinico riportano come sia il PTH che la Vit D siano correlati alla patologia cardiaca, con un progressivo approfondimento della specifica influenza della sola Vit D sulla patologia, con le interferenze con l’aumento del PTH causato dalla carenza vitaminica 23.
Vari studi osservazionali hanno riguardato l’eventuale rapporto tra le concentrazioni di 25(OH)D e il rischio di CV, valutato sulla base dell’incidenza di infarti del miocardio (IMA), di stroke e della relativa mortalità. La maggior parte dei risultati ha evidenziato come bassi livelli di 25OHD erano associati con un maggior rischio di CV, con una significatività variabile 24,25.
Il Framingham Offspring Study ha seguito 1.739 soggetti di età media 59 anni (55% di sesso femminile) inizialmente privi di patologie CV e osservati per 5 anni. Il rischio di incorrere in eventi CV era di 1,62 volte più alto nei soggetti con dosaggi di 25OHD < 15 ng/ml, rispetto ai rimanenti che possedevano valori superiori; il rischio maggiore si verificava nei soggetti che presentavano ipertensione 26.
Si deve osservare che molti degli studi riportati erano stati disegnati per valutare gli effetti ossei della Vit D e, in molti casi, le dosi di 400 UI/die venivano poi considerate non adeguate. In un’ampia review di meta-analisi su studi clinici randomizzati (RCTs) si evidenziavano effetti variabili sulle patologie CV in rapporto ai valori di Vit D 27,28. Tale variabilità poteva trovare spiegazione nella diversa capacità-delle cellule del sistema CV di produrre calcitriolo endogeno e per l’ampio range di concentrazioni di 25OHD richiesto per esprimere questi effetti.
Appare però chiaro che basse concentrazioni di 25OHD circolante, il conseguente aumento di PTH e la minor produzione intracellulare di calcitriolo possono determinare alterazioni cardiovascolari.
Pur nella variabilità degli studi clinici è opinione diffusa che un adeguato apporto di Vit D con valori di 25(OH)D3 (pari o maggiori di 30 ng/ml o più) sia necessario per ridurre i rischi di incorrere in patologie CV.
Vitamina D e pressione arteriosa
Evidenze più convincenti provengono dagli studi sull’ipertensione che hanno mostrato una relazione inversa tra i livelli di 25(OH)D e il rischio di ipertensione. Il fatto che la maggiore incidenza di ipertensione essenziale (IE) si verifichi nei mesi invernali e alle più alte latitudini rende ragionevole ritenere che una minor produzione di Vit D possa contribuire ad aumentarne la prevalenza 29.
Un’ampia metanalisi di Burgaz et al. 30, che include quattro studi prospettici e 14 cross-sezionali, mostra una relazione inversa tra la concentrazione di 25(OH)D e l’incidenza di ipertensione con una odds-ratio di 0,73 per i valori più alti di 25(OH)D rispetto ai valori più bassi.
Simili risultati sono stati ottenuti in altri studi 22; Kunutsor et al. in coorti di soggetti con 283.537 partecipanti di cui 55.816 casi di ipertensione arteriosa hanno evidenziato una riduzione della patologia del 12% per ogni aumento di 10 ng/ml di 25(OH)D 31.
Nonostante la maggior parte degli studi osservazionali 32 riportino una relazione inversa tra Vit D e ipertensione arteriosa, in altri studi i risultati meritano un approfondimento 33. Tuttavia, i valori iniziali di 25(OH)D nella maggioranza dei soggetti studiati erano già nel range di normalità e tali da non alterare il PTH 34. Tuttavia, un supplemento di Vit D e calcio riducevano il PTH e i livelli pressori 35, nella consapevolezza che il PTH possa essere influenzato anche da altri fattori quali il Ca, il sodio, il fosfato.
Resta chiaro che lo stato vitaminico D è uno dei possibili responsabili del livello del PTH e dell’interferenza con la pressione arteriosa.
Recenti lavori clinici hanno anche evidenziato la correlazione tra valori di 25OHD e l’insorgenza di pre-eclampsia (gestosi) 36 oltre a promuovere la formazione della placenta in un momento nel quale anche il feto necessita di un maggiore apporto di Vit D. Un gruppo di donne nelle ultime settimane di gestazione venivano trattate con tre differenti dosi di Vit D (400-1500-4000 UI) e la valutazione sulla incidenza di pre-eclampsia ha mostrato come la dose maggiore abbia fornito una significativa minore incidenza dell’evento considerato, unitamente a una perfetta tollerabilità. Vale anche ricordare che la Vit D viene facilmente trasportata dal sangue materno al latte ed è stato calcolato che per ogni 1000 UI di Vit D assorbite dalla madre vi siano circa 80 UI/ L nel latte. Anche questo dato conferma come 4000 UI di Vit D siano adeguate e sicure nel periodo della gravidanza e del dopo-parto.
È possibile affermare, sulla base delle attuali conoscenze, che di fronte a patologie croniche a lenta insorgenza vi sia la concomitanza di diverse alterazioni funzionali che concorrono a determinare un danno di organo. La carenza di Vit D, un elevato PTH, un’eccessiva presenza di leptina e di massa grassa, un alterato metabolismo glucidico, un silente processo infiammatorio, lo stress ossidativo, la minore reattività legata all’età e altri fattori, unitamente a un errato stile di vita, possono, tutti assieme o in parte, contribuire al manifestarsi di patologie croniche verso le quali intervenire migliorando un singolo elemento non è sufficiente a ristabilire una completa omeostasi.
Vitamina D e diabete
Per la presenza di numerosi recettori per il metabolita attivo della Vit D (calcitriolo o 1α-25(OH)2D), inclusi i recettori espressi sulle cellule beta pancreatiche, oltre all’attività antinfiammatoria è stata ipotizzata un’azione modulatrice della Vit D sulla patologia diabetica.
Numerosi studi in vitro e in vivo su animali hanno mostrato la presenza di recettori per 1α,25(OH)2D nel citosol delle cellule pancreatiche di pollo 37,38, la presenza della proteina legante il Ca (CaBP)-Vit D dipendente- nel pancreas di ratti e maiali 39 e la localizzazione di 1,25(OH)2D nel nucleo delle cellule pancreatiche di ratto 40, facendo ipotizzare un possibile intervento della Vit D nel regolare la funzione pancreatica. Tale ipotesi trovava già una conferma in un lavoro di Norman et al. nel 1980 in cui si evidenziava, durante la perfusione del pancreas di ratti con glucosio e arginina, una minore produzione di insulina (-48%) negli animali carenti di Vit D 41. Nel 1981 Ckark et al. 42 avevano confermato come la somministrazione in vivo di 1α-25(OH)2D a ratti deficienti di Vit D comportasse un aumento del livello di insulina nel sangue periferico. Kadowaki et al. nel 1984 avevano valutato altri fattori potenzialmente responsabili di una ridotta secrezione di insulina, quali ad esempio, i vari cambiamenti nutrizionali, metabolici e biochimici, un deficiente apporto calorico e di calcio, una diminuzione della CaBP- Vit D dipendente nelle beta cellule, o cambiamenti ormonali. Da rimarcare come i risultati del lavoro indicavano come solo un deficiente apporto di Vit D fosse responsabile della ridotta secrezione di insulina 43.
È importante ricordare che anche le beta-cellule posseggono l’enzima per la conversione del 25(OH)D nel metabolita attivo 1α,25(OH)2D; ciò consente anche un importante effetto paracrino, oltre a regolare la concentrazione del Ca extracellulare e il suo flusso attraverso le cellule beta 44 con effetto sulla secrezione di insulina quale processo Ca-dipendente 45.
È stato inoltre dimostrato che il calcitriolo (1α,25(OH)2D) può entrare nelle cellule che rispondono all’insulina, aumentando la presenza dei recettori per l’insulina stessa, ma senza alterarne la sensibilità 46. L'ipovitaminosi D invece porta a un incremento del PTH che è stato associato alla resistenza all’insulina 47, oltre a determinare un’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone legato anch’esso a una resistenza alla insulina. Un ulteriore meccanismo che lega direttamente o indirettamente la Vit D al diabete è l’effetto sull'infiammazione sistemica tramite l’inibizione della attivazione del fattore nucleare NFkB e la relativa inibizione nell’espressione di varie citokine nocive per le beta-cellule 48.
Numerosi sono gli studi osservazionali trasversali (cross sectional) e longitudinali che hanno cercato di evidenziare l'eventuale relazione tra diabete di tipo 2 (T2D) e lo stato vitaminico D.
Uno studio, tra i più significativi, è rappresentato dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) del 2004 49 condotto su oltre 6.000 soggetti e dal quale emergeva un’associazione inversa tra la concentrazione di 25(OH)D e la prevalenza di diabete. Un risultato che era confermato anche da una indagine fatta in Inghilterra da Hypponen 50 su circa 6.800 soggetti e dalla quale emergeva come il 25(OH)D fosse inversamente associato con la sindrome metabolica mentre a maggiori valori di 25(OH)D corrispondevano anche maggiori concentrazioni di IGF-1 (somatomedina o fattore di crescita insulino-simile) con valori tendenti a un plateau per concentrazioni di 25(OH)D > 35ng/ml.
Anche studi clinici longitudinali dove lo stato vitaminico era valutato prima che si verificasse evidenza di T2D hanno mostrato quasi sempre una relazione inversa tra 25(OH)D e incidenza di T2D.
Uno tra i più ampi studi riguarda il lavoro di Pittas 2006 51 con il Nurses’ Health Study effettuato su oltre 83.000 donne senza precedenti storie di diabete né patologie cardiovascolari o tumori, che venivano seguite per 20 anni, valutando l’apporto di Ca e di Vit D in rapporto all’incidenza di nuovi casi di T2D. I dati mostrano una forte riduzione (33%) nel rischio di diabete nei soggetti che avevano ricevuto un apporto di calcio (> 1.200 mg/die) e Vit D (> 800 UI/die) rispetto ai soggetti con minori apporti dei due farmaci (Ca < 600mg e Vit D < 400 UI).
In un analogo studio di Liu et al. su oltre 10.000 donne con età media > 45 anni viene fatto riferimento all’apporto di Vit D e di Ca 52. I risultati mostrano una minore prevalenza di sindrome metabolica tra le donne che avevano assunto le maggiori quantità di calcio e Vit D, un evento che corrisponde anche a quanto osservato da altri circa il legame tra calcio, pressione arteriosa e sensibilità alla insulina 53.
Nel 2013 la metanalisi di Song et al. 54 su 21 studi osservazionali longitudinali comprendenti circa 76.000 partecipanti, ha riguardato il rischio di incorrere in un diabete tipo II in relazione ai livelli di 25(OH)D. I dati riportano una riduzione del rischio del 38% con un livello di 25(OH)D nel terzile superiore rispetto ai valori più bassi e con scarsa eterogeneità tra i vari studi. Un’analisi del trend aveva indicato che ogni incremento del 25(OH)D di 4 ng/ml era associato a un minor rischio del 4% di T2D.
Si deve tuttavia osservare che anche risultati diversi sono stati riportati a seguito di lavori RCTs così come in una meta-analisi da 23 studi controllati dove 1790 soggetti diabetici erano randomizzati a ricevere o Vit D o placebo. L’efficacia del valore basale di Vit D non si modificava aumentandone il dosaggio 55. Questi ultimi dati però concordano anche con i risultati di una precedente meta-analisi di 15 RCTs 56. Si potrebbe osservare che i tempi di osservazione erano assai ristretti, da poche settimane a un anno 57.
Il supplemento di Vit D ha mostrato effetti più apprezzabili nell’aumentare i livelli di 25(OH)D nel siero e nel ridurre la resistenza all’insulina nei soggetti con T2D, con una variabilità di influenza sulla glicemia a digiuno, sulla HbA1c o sui livelli di insulina, ma con un’influenza positiva soprattutto nei soggetti carenti di Vit D e nei non obesi.
Vitamina D e depressione
La proprietà della Vit D di influenzare la fisiologia di vari organi e tessuti ha spinto a valutare i possibili effetti sul sistema nervoso centrale, un’ipotesi questa che trova supporto anche nella capacità di attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il fluido cerebrospinale e il cervello58,59; a questa proprietà si aggiunge anche la capacità delle cellule del cervello di trasformare la pro-Vit D nel suo metabolita attivo, 1α,25(OH)2D per la presenza dei due enzimi responsabili della trasformazione 60, la 25-idrossilasi e 1α-idossilasi.
La Vit D, il calcitriolo, agisce attraverso il legame con i recettori specifici VDRs presenti nei neuroni e nelle cellule gliali di varie aree cerebrali 61,62 essenziali per i processi cognitivi.
A confermare il suo possibile intervento su alcune patologie neurologiche vale ricordare che la Vit D è anche in grado di regolare la sintesi di fattori neurotrofici quale il nerve growth factor (NGF) e la neurotrofina 63,64 che consentono un controllo sul differenziamento neuronale. La Vit D è risultata in grado di regolare l’espressione genica di vari neurotrasmettitori quali la dopamina, l’acetilcolina, la serotonina e l’acido γ-aminobutirrico 65-67.
Alcuni dati relativamente recenti hanno anche evidenziato come i periciti cerebrali rispondano al 1α,25(OH)2D, innescando un meccanismo antiinfiammatorio 68. Altri esperimenti sugli animali mostrano come il calcitriolo tenda a limitare l’accumulo di β-amiloide tramite l’attivazione dei macrofagi 69,70.
La conoscenza delle caratteristiche sopra riportate, unitamente alla attività antiossidante propria della Vit D, ha spinto a valutarne l’attività in ambito clinico nei confronti di varie patologie neurologiche, anche in considerazione del fatto che con l’avanzare dell’età, sempre più frequentemente si riscontrano deficienze di Vit D.
In uno studio del 2014, 1658 soggetti senza sintomi di demenza o patologie cardiovascolari furono esaminati durante 6-7 anni, valutando la concentrazione di 25(OH)D e l’incidenza del rischio di malattia di Alzheimer o di demenza 71. I risultati hanno indicato che i soggetti con valori di 25(OH)D inferiori a 10ng/ml, ma anche tra 10 e 20 ng/ml) hanno un rischio significativamente maggiore di incorrere in condizioni di demenza e di Alzheimer rispetto ai soggetti con valori più elevati. Gli Autori, tuttavia, non hanno evidenziato quali valori di 25(OH)D siano più idonei al conseguimento di una migliore prevenzione.
Anche due recenti metanalisi 72,73 includenti rispettivamente 37 e 284 diversi studi con lo scopo di valutare un’eventuale relazione tra 25(OH)D e malattia di Alzheimer, hanno confermato i risultati ottenuti nei precedenti lavori e hanno suggerito che bassi valori di Vit D sono associati a difettose funzioni cognitive e rischio di malattia di Alzheimer.
Uno studio su 6.257 donne anziane seguite per 4 anni 74 ha confermato un maggiore rischio (60%) di deterioramento cognitivo in presenza di valori di 25(OH)D < 10ng/ml. In maniera simile, anche in un altro studio, il declino cognitivo era risultato maggiore del 41% in soggetti con bassi livelli vitaminici.
Diversamente altri studi RCT hanno valutato gli effetti di supplementi di Vit D sulle funzioni cognitive di pazienti anziani, ma con risultati non concordanti 75. Nonostante i risultati spesso discordanti siano da attribuire a una scarsità nel numero dei soggetti reclutati e quindi all’impossibilità di rilevare una significatività dei dati ottenuti o alle diverse metodiche di valutazione delle concentrazioni di 25(OH)D, ne emerge l’impressione che la Vit D possa avere un effetto preventivo più che curativo 76. Una recente indagine ha mostrato come i VDRs siano presenti, sia pure in misura diversa, in numerose aree del cervello con gli astrociti fortemente rispondenti al calcitriolo a livello genomico, mentre altri tipi cellulari potrebbero essere responsabili di un effetto non genomico a giustificare effetti diversi del supplemento vitaminico 77.
Vitamina D e artrite reumatoide
Gli effetti esercitati dalla Vit D sul sistema immune non potevano non far attirare l’attenzione sulle malattie reumatiche, anche se il ruolo della Vit D in queste patologie non è del tutto chiaro e ben definito. Non può pertanto sorprendere che una sua deficienza possa essere correlata a patologie allergiche o autoimmuni 78,79, evento confermato anche da alcuni studi che hanno mostrato come il rischio di malattie autoimmuni sia influenzato dalla stagionalità e dai valori del 25(OH)D 80-82.
L’ipotesi che la Vit D, tramite il suo metabolita attivo 1α,25(OH)D, possa influenzare il corso della patologia artritica era stata suffragata anche da studi sugli animali nei quali venivano indotte lesioni artritiche con vari agenti (collagene, Borrelia burgdorferi) 83. Anche da questi modelli sperimentali emergeva l’effetto preventivo della Vit D. Altri studi hanno mostrato che anche le varianti geniche dei recettori per la Vit D (VDRs) possono predisporre a fenomeni autoimmuni e alla AR 84. Nonostante vari lavori sperimentali abbiano indicato un possibile ruolo della Vit D nel modulare la RA, gli studi clinici non sempre hanno chiarito questa influenza.
In uno studio prospettico iniziato nel 1986 furono selezionate 29.368 donne di età compresa tra 55 e 69 anni, non affette da AR all’inizio dello studio, e seguite per 11 anni controllando l’incidenza di AR e il livello di 25(OH)D. Il risultato ha evidenziato una forte correlazione inversa tra incidenza di AR e il livello di Vit D, mente il calcio non risultò influenzare il risultato 85.
Uno studio recente ha riportato i risultati estratti da 24 reports comprendenti 3.489 soggetti dei quali veniva messa in relazione la concentrazione di 25(OH)D con alcuni indici della malattia reumatica (RA): grado di attività della malattia misurata con DAS e PCR 86. I risultati dimostrano che i pazienti che sviluppano AR hanno più bassi valori di 25(OH)D rispetto ai controlli; inoltre, all’interno dei soggetti con AR vi è una relazione negativa tra livello di Vit D e l’attività di malattia.
Un precedente lavoro, che già aveva fornito idee abbastanza chiare sulla relazione tra Vit D e AR, aveva preso in considerazione soggetti viventi nel sud dell’Italia e altri nel Nord della Estonia, due ambienti assai diversi per quanto riguarda l’irraggiamento solare. Oltre a evidenziare un livello di 25(OH)D assai maggiore nei soggetti italiani, gli stessi valori mostravano una significativa correlazione negativa con gli indici clinici della AR 87. È stato anche osservato che i livelli di Vit D erano inferiori nei soggetti che meno rispondevano alle terapie.
Analoghi risultati sono riportati in una vasta meta-analisi 88 che ha riguardato 2.885 pazienti con AR vs 1.084 controlli, ma anche in alcuni altri studi includenti 215.757 partecipanti. In questa ampia disanima è risultato che il maggiore apporto di Vit D è correlato a un minor rischio (-24,2%) di sviluppare una AR. Una più recente metanalisi del 2016 89 è stata condotta su 15 lavori che includevano 1.143 pazienti con AR versus 963 controlli. Anche in questo studio è risultato che i livelli di Vit D nei soggetti con AR erano significativamente più bassi rispetto ai controlli e vi era anche una significativa correlazione inversa tra livelli di Vit D e gli indici di malattia misurati con DAS28.
Questi risultati erano stati confermati anche in uno studio precedente su circa 30.000 donne di età compresa tra 55 e 69 anni non affette da AR e seguite per 11 anni annotando il consumo alimentare di Vit D e l’eventuale somministrazione di supplementi della stessa. Anche da questo studio emerge che vi è un minor rischio (circa 35%) di sviluppare AR nei soggetti con livelli di Vit D compresi nel terzile superiore, mentre non risulta rilevante l’assunzione di Ca 90.
Purtroppo, mentre sono numerosi gli studi osservazionali, meno disponibili sono i lavori RCT; è tuttavia interessante esaminare una meta-analisi del 2017 riguardante 9 studi clinici RCT su soggetti con AR (5 lavori), lupus eritematoso sistemico (3 lavori) e sclerosi sistemica (1 lavoro), ai quali venivano forniti supplementi di Vit D di diversa entità per 3 mesi. Al termine del lavoro solo 7 studi furono completamente analizzati valutando le dosi di Vit D, il dolore misurato con metodica VAS, e gli indici di attività di malattia secondo DAS28. Purtroppo, anche questo lavoro non ha portato un definitivo chiarimento sulla efficacia della supplementazione di Vit D nel ridurre in maniera apprezzabile il grado di attività di queste patologie. Mentre alcuni lavori non hanno mostrato vantaggi, altri, relativi alla maggioranza dei soggetti, hanno riportato una riduzione della gravità della AR con riduzione delle cellule CD4+, di IL-17, IL-1β, IL-6, TNF-α e delle metalloproteasi. Non vi erano però differenze nella valutazione del dolore con metodica VAS (Visual Analog Scale) e nell’attività di malattia misurata con DAS28; riguardo al lupus eritematoso sistemico veniva invece osservata una riduzione della positività agli anti-dsDNA 91. Gli Autori concludono che nonostante alcune osservazioni depongano in favore di un effetto della Vit D sono tuttavia necessari ulteriori lavori, ben controllati, limitando gli elementi confondenti l’obiettività dei risultati, così come gli eventuali vantaggi offerti dai farmaci biologici.
In presenza di molti segnali che tendono a far ritenere la Vit D coinvolta nell’eziopatologia della AR, si rendono necessari ulteriori studi che sottolineino tale ruolo. In tal senso però un ruolo sull’andamento della malattia lo si riscontra in alcune evidenze circa la sinergia della Vit D con alcuni farmaci di comune utilizzo reumatologico. In uno studio in vitro l'1α,25(OH)D3 ha mostrato di agire sinergicamente con lo abatacept nell’inibire l’attivazione delle cellule T; in un altro lavoro la Vit D ha mostrato di potere promuovere l’attività immunosoppressiva della proteina CTLA-4 92,93.
Oltre alla presenza di varianti genetiche nell’influenzare l’importanza della Vit D nella immunopatogenesi della malattia 94, si deve ricordare che anche per quanto riguarda la concentrazione di 25(OH)D non c’è concordanza sul dosaggio ottimale nei soggetti con AR. In conclusione, possiamo dire che, in attesa di ulteriori studi, la Vit D funziona come negativo feedback regolatore nei processi infiammatori, attenuando la risposta immune, oltre a influenzare l’ambiente sinoviale modulando alcuni fattori che influenzano il danno osteo-cartilagineo.
Vitamina D e tumori
Sono ormai alcune decine di anni che vengono effettuate ricerche sulla potenziale attività antitumorale della Vit D, ovvero da quando due ricercatori, Garland& Garland nel 1980 ipotizzarono che l’alta incidenza di tumori al colon riscontrati nel Nord degli USA, in confronto a quanto si verificava nel Sud, potesse essere collegata alla minor produzione di Vit D da parte dalla pelle. La maggiore incidenza di tumori nei paesi con scarso irraggiamento solare ha fatto quindi rafforzare il pensiero che vi potesse essere un'influenza della Vit D nello sviluppo di alcune neoplasie. In effetti vi sono alcuni presupposti per una tale ipotesi, dal momento che vari studi in vitro e in vivo indicano come il metabolita attivo della Vit D, il calcitriolo o 1,25(OH)2D, possieda recettori su numerose cellule tumorali oltre a essere in grado di promuovere il differenziamento cellulare e di inibire la proliferazione in vitro di cellule tumorali 95. Effetti questi ultimi ai quali collabora anche la attività antinfiammatoria, proapoptotica e anti-angiogenetica della Vit D 96,97.
Numerosi dati suggeriscono che la Vit D sia in grado di regolare varie fasi della genesi tumorale e della metastasi, incluso le interazioni con i tessuti circostanti 98,99, intervenendo a difesa delle alterazioni del DNA con la sua attività antinfiammatoria e antiossidante.
È una proprietà nota della Vit D, ovvero del calcitriolo, l’inibizione della sintesi delle prostaglandine (PGs) grazie alla soppressione dell’espressione della cicloossigenasi-2 (COX-2) e all’inibizione dell'espressione dei recettori per le PGs 100. La Vit D ha anche la proprietà di intervenire sul processo di infiammazione cronica che contribuisce a dare inizio alla tumorigenesi, azione che si realizza sia mediante l'inibizione del fattore p38MAPK sia del fattore nucleare NFkB, con la conseguenza di ridurre la produzione di numerose citokine proinfiammatorie (TNF-α, IL-6, IL-10) e realizzando un effetto anti-infiammatorio nell’ambiente tumorale 101.
Vi sono dati che confermano una protezione mediata dalla Vit D nei confronti del danno al DNA indotto dai radicali liberi (ROS), grazie all’induzione della superossido-dismutasi (SOD2) e quella di altri enzimi ad attività antiossidante da parte del calcitriolo 102-104. Altri lavori hanno mostrato anche la capacità della Vit D di regolare i processi di riparazione del DNA 105.
Osservazioni relativamente recenti 106 hanno mostrato come molte cellule tumorali tendono a inibire, con vari meccanismi, il numero dei recettori per la Vit D e quindi a contrastarne l’attività antitumorale 107. È interessante osservare che le cellule tumorali, oltre a possedere l’enzima CYP27B1, in grado di trasformare il 25(OH)D nel metabolita attivo calcitriolo, posseggono anche aberranti concentrazioni dell’enzima 24-idrossilasi espresso dal CYP24A1, con la funzione di inattivare il calcitriolo e ridurre così le proprietà antiproliferative della Vit D.
Le attività antitumorali osservate sperimentalmente hanno spinto a valutare una potenziale attività della Vit D anche in ambito clinico, attraverso numerosi studi osservazionali, dai quali emerge una riduzione del rischio di incorrere in vari tipi di tumore (colon, mammella, prostata, ovaio).
Il settore maggiormente indagato è stato quello del tumore del colon, per il quale è stata valutato l’effetto di supplementi di Vit D e dell’esposizione solare. Da questi lavori emerge il significativo beneficio apportato dalla Vit D sia nei confronti del rischio, che della mortalità per tumore. Solo alcuni lavori non hanno evidenziato vantaggi 108-110. Un’associazione inversa tra esposizione agli UVB (ultraviolet B), rischio di tumore e mortalità è stata osservata in alcuni ampi studi effettuati negli Stati Uniti e riguardanti i tumori della prostata, della mammella e delle ovaie 111-113.
Un’altra lunga indagine sulla correlazione tra Vit D e il rischio di tumori e mortalità, svolta durante 9 anni, ha messo in evidenza alcune differenze tra i due sessi relativamente al tumore all’esofago, risultato maggiormente prevalente negli uomini rispetto le donne, diversamente dal tumore alla cistifellea o alla tiroide. Una relazione era stata osservata anche per i tumori della vescica, del colon, per il linfoma non-Hodgkin, il mieloma e il tumore del pancreas, mentre non era stata osservata relazione inversa tra l'esposizione agli UVB e i tumori al cervello, alla laringe, al fegato, alle ovaie, e altri diversi. I risultati, tuttavia, non concordano sempre con i dati di altri studi a indicare l’influenza di numerose variabili non sempre prese in considerazione in tutti i lavori 114.
In un altro interessante lavoro Giovannucci et al. hanno preso in considerazione i livelli di 25(OH)D in relazione all’incidenza di vari tumori: i risultati ottenuti, oltre a rilevare una relazione inversa tra livelli di Vit D e numero e mortalità per alcuni tumori, hanno mostrato che, per ogni aumento di 10 ng/ml di 25(OH)D, si osservava una minore incidenza del 17% nel numero dei tumori. Gli stessi Autori ritengono che una dose di 1.500 UI /die di Vit D siano adeguate allo scopo 115.
Diversamente in altre indagini non è stata osservata alcuna relazione tra apporto vitaminico e incidenza di tumore intestinale dopo assunzione di Ca (1.000 mg/die) e Vit D (400 UI/die); si deve notare tuttavia che la dose di Vit D è verosimilmente troppo bassa per indurre effetti significativi; lo stesso studio però riporta come le donne con livelli basali di 25(OH)D < 12 ng/ml avevano un rischio di tumore intestinale aumentato del 25% 116.
Riteniamo importante osservare che la mancata corrispondenza tra valori di 25(OH)D e rischio di tumore è probabilmente dovuta al livello iniziale di 25(OH)D dei soggetti esaminati, già assai alto, ma non quanto ritenuto necessario per ottenere una riduzione del rischio considerato nell’ordine di 40-60 ng/ml.
Quale confronto, riteniamo interessante riportare un lavoro fatto negli USA in merito al rapporto Vit D e rischio di tumore al colon dal quale emerge che ogni aumento di 25(OH)D di 4 ng/ml risulta associato con il 6% di riduzione del rischio di tale neoplasia 117.
È importante ricordare che molte cellule tumorali hanno la capacità di trasformare internamente il 25(OH)D nel metabolita attivo 1,25(OH)2D indipendentemente da altri fattori (diversamente dal calcitriolo circolante, che viene prodotto da idrossilazione a livello renale sotto la dipendenza del PTH e del FGF23). È logico che, in presenza di adeguate concentrazioni di 25(OH)D, la produzione autocrina e la presenza paracrina del calcitriolo possano influenzare direttamente le cellule tumorali fin dal loro sviluppo. Molte delle differenze riscontrate nei risultati dei vari studi epidemiologici sono sicuramente legate anche ai diversi genotipi dei VDR; tali differenze sono collegabili alle diverse risposte in termini di rischio di sviluppo di tumori 118,119.
La grande maggioranza degli studi epidemiologici ha comunque mostrato come un alto livello di Vit D può essere di protezione verso l’insorgenza di numerosi tumori; tuttavia, mancano le conoscenze sui meccanismi che supportano questa attività, anche se possono essere considerati efficaci i ruoli di 1,25(OH)2D nella soppressione della proliferazione cellulare, nella apoptosi, nell’immunoregolazione o anche nella sua influenza sui vari livelli di trascrizione.
Discussione
Da molto tempo si discute sull’efficacia della Vit D nel condizionare numerose patologie scheletriche ed extrascheletriche e numerose sono ormai le dimostrazioni che ci indicano come la Vit D, o meglio il suo metabolita attivo, sia un ormone di importanza vitale per un buon sviluppo dell’organismo, già dalla fase fetale, oltre che per il mantenimento di un migliore stato di salute o, almeno, per contribuire al mantenimento di questa condizione.
Il ruolo della Vit D nelle malattie scheletriche appare consolidato in riferimento al suo ruolo farmacologico, per cui l’Autorità Sanitaria ne ha normato indicazioni e dosaggio, soprattutto in riferimento ai criteri di rimborsabilità, ossia a problematiche di farmaco-economia.
Nel dibattito scientifico in Letteratura emerge il ruolo della Vit D in maniera sempre più importante e ubiquitaria in ragione soprattutto dell’origine della Vit D, più precisamente dell’ergosterolo, già presente nei primi organismi unicellulari preistorici.
La continua presenza dei numerosi recettori per la Vit D ha seguito l’evoluzione con una distribuzione pressoché in tutti i tessuti organici, influenzando un considerevole numero di geni responsabili dell’espressione di numerose proteine e fattori essenziali. Basterebbe anche pensare alla capacità che alcune cellule di vari tessuti e organi vitali hanno di trasformare direttamente al loro interno il 25(OH)D nel metabolita attivo, al fine di permettere un corretto sviluppo o una funzione cellulare in maniera autocrina o paracrina.
Sarebbe sufficiente anche pensare come già nelle prime fasi della vita, e addirittura nella vita embrionale, la presenza nel sangue materno di un’adeguata concentrazione di 25(OH)D condizioni lo sviluppo scheletrico fetale e come durante l’allattamento al seno un supplemento vitaminico adeguato condizioni lo sviluppo del neonato e ne prevenga l’insorgenza di future patologie.
Sono numerose le condizioni che suggeriscono l’importanza della Vit D nel prevenire o mantenere un adeguato stato di salute, anche se il suo ruolo differisce quando si è di fronte a patologie ormai consolidate e in stato avanzato o cronico; in questi casi le componenti che hanno determinato la malattia sono molteplici e la Vit D partecipa positivamente alla risoluzione parziale o totale della malattia considerata, ovviamente in associazione alle terapie specifiche.
In conclusione, è possibile affermare che la Vit D ha un ruolo importante universalmente riconosciuto, a prescindere dalle specifiche problematiche di farmaco-economia; il problema è quello di definire “quanta, come e quando” deve essere somministrata, ricordando il fondamentale concetto che “prevenire e meglio che curare”.